Scarti agroalimentari per produrre biometano, Sebigas spiega i vantaggi

In Italia il 15% degli scarti zootecnici viene trasformato in biogas ed entro il 2030 si potrà arrivare al 65% con una produzione di biometano da 1,7 miliardi di metri cubi a 6,5 miliardi.

biometano Scarti agroalimentari

Sebigas spiega i vantaggi economici, ambientali e sociali derivanti dall’impiego degli scarti agroalimentari della filiera delle carni nella produzione di biometano, alla luce delle direttive UE sulla promozione dell’energia da fonte rinnovabile, il DM del 2 marzo 2018 e il relativo decreto 10 ottobre 2014.

A livello globale, ogni anno si perdono 1,6 miliardi di tonnellate di cibo, di cui 1,3 miliardi di tonnellate sono commestibili e 0,3 miliardi di tonnellate non commestibili.

Coerentemente con quanto comunica la WBA, meno del 2% dei sottoprodotti alimentari non commestibili viene attualmente raccolto per il recupero di energia e nutrienti.

Innovare il settore agroalimentare in modo da conciliare sostenibilità economica, ambientale e sociale è sicuramente una sfida tanto attuale quanto necessaria.

Scarti agroalimentari, da residui costosi e risorsa

A giocare un ruolo fondamentale in questa transizione sono proprio gli scarti zootecnici della filiera delle carni; tali residui, se impiegati nella produzione di biometano, possono infatti essere valorizzati passando da residui costosi da smaltire a risorsa per il comparto. L’industria delle carni presenta le caratteristiche ottimali per sfruttare al meglio i sottoprodotti, gli scarti di produzione e macellazione e generare valore da una fonte inaspettata.

Lo scenario italiano

L’Italia è il terzo produttore mondiale di biogas derivante dal settore agroalimentare con ben 2 miliardi di metri cubi prodotti annualmente. A oggi, il 15% degli scarti zootecnici viene trasformato in biogas ed entro il 2030 si potrà arrivare ad una percentuale del 65% con una produzione di biometano che passerebbe da 1,7 miliardi di metri cubi a 6,5 miliardi.

I vantaggi economici

Ricorrendo al biometano, le aziende del comparto possono valorizzare il refluo da stalla in maniera intelligente, produrre un fertilizzante organico di qualità, integrare il reddito della società mediante la vendita dell’energia elettrica e/o utilizzare la stessa per autoalimentarsi. Sfruttare questa opportunità, anche per scaduti e resi, è una delle soluzioni che meglio si presta a soddisfare sia la sostenibilità economica sia quella ambientale.

I vantaggi ambientali

Il biometano rispetta di più l’ambiente, tant’è che le emissioni di un veicolo a biometano sono il 97% in meno di quelle di un veicolo alimentato a benzina, oltre a essere prive di particolato. Sotto il profilo delle emissioni avremmo un duplice effetto: da un lato il comparto agroalimentare ridurrebbe le proprie emissioni di 12,4 milioni di tonnellate di CO2 al 2030 (-32%) e dall’altro, non ricorrendo a fonti energetiche fossili, eviterebbe ulteriori 19 milioni di emissioni di CO2. Una riduzione complessiva di oltre 31 milioni di tonnellate, equivalente a quelle generate da 18,5 milioni di autovetture, vale a dire la metà del parco auto nazionale.

Il biometano non solo implementa l’economia circolare ma, migliorando sensibilmente la gestione e l’uso dei reflui zootecnici, genera anche rilevanti effetti positivi sulla filiera agroalimentare, stimolando nuovi investimenti nel settore. Infatti, oltre a ottimizzare l’uso dell’acqua e della fertilizzazione, il biometano supporta sia tecniche di produzione basate sul “precision farming” che l’innovazione nella meccanica agraria. Tutto ciò aumenta inevitabilmente la competitività degli allevamenti, preservando una delle più importanti filiere del made in Italy.

I vantaggi sociali

Lo sviluppo della produzione di biogas in Italia ha generato 12mila nuovi posti di lavoro ed entro il 2030 potrebbe crearne altri 25mila: Il settore a livello globale impiega 334.000 addetti a oggi.