Produzione biometano, intervista a Roberto Salmaso di Sebigas

La filiera agroalimentare è uno dei settori ai quali il piano nazionale di ripresa e resilienza riserva grande attenzione.

Roberto Salmaso

Roberto Salmaso, General Manager di Sebigas, ci spiega i vantaggi e le implicazioni dell’uso di scarti agroalimentari nella produzione di biometano.

– Quali sono i vantaggi economici derivanti dall’impiego degli scarti agroalimentari della filiera delle carni nella produzione di biometano?

La produzione di biogas attraverso il processo di digestione anaerobica si focalizza ormai da diversi anni sulla grande opportunità di sfruttamento delle risorse derivanti da processi zootecnici e agroindustriali quali materie prime e volano di accelerazione della ormai fin troppo nominata “economia circolare”. Modelli di business decisamente virtuosi che aiutano aziende ed industrie a produrre non solo energia pulita ma, in diversi casi, a ridurre persino gli autoconsumi legati al proprio ciclo produttivo ed a migliorarlo contestualmente.

Gli impianti si evolvono, diventano tecnologicamente più complessi e rispondono pienamente al concetto di sostenibilità, ragione per cui vengono realizzati. Su questi elementi, noi di Sebigas, abbiamo approcciato il mercato del biogas sviluppando progetti molto eterogenei con matrici diversificate. In Francia, Belgio e Grecia abbiamo realizzato impianti che hanno come piano di alimentazione scarti della macellazione, rifiuti mercatali e lettiere di allevamenti.

La filiera delle carni è allo stesso tempo sia fra le più importanti in termini di produzione che fra le più virtuose dal punto di vista del riutilizzo dei prodotti di scarto. Il biometano generato come vettore energetico è utile a migliorare l’efficienza energetica del ciclo di produzione della carne ed essendo una fonte rinnovabile, rientra a pieno titolo nell’ambito di applicazione delle normative volte a incentivare la generazione di energia pulita. Tariffe premianti, Sussidi agli investimenti e sgravi fiscali sono elementi di grande interesse nelle politiche di sviluppo sostenibile e di investimento della filiera.

Tra l’altro la filiera agroalimentare risulta essere uno dei settori al quale il piano nazionale di ripresa e resilienza riserva grande attenzione e dal quale, certamente, possiamo ottenere benefici nel breve periodo.

– La rilevanza sociale e comunitaria è un altro aspetto cruciale. Come valutate l’impatto sulla filiera, sulle comunità locali e, più in generale, quali evidenze potrà avere l’uso degli scarti agroalimentari sul “Sistema Italia”?

L’Italia è il terzo produttore mondiale di biogas derivante dal settore agroalimentare con ben 2 miliardi di metri cubi prodotti annualmente. Ad oggi, il 15% degli scarti zootecnici viene trasformato in biogas ed entro il 2030 si potrà arrivare ad una percentuale del 65% con una produzione di biometano che passerebbe da 1,7 miliardi di metri cubi a 6,5 miliardi. Solo questi pochi numeri ci danno la portata di quanto l’Italia del biometano possa fare per tutti noi sia a livello locale che planetario. Il beneficio che dobbiamo vedere non può e non deve limitarsi all’analisi della filiera locale o nazionale poiché Il biometano, così come il biogas, è tra i protagonisti indiscussi della riduzione dei gas climalteranti effetto serra.

A livello globale si parla di riduzioni complessive nell’ordine del 10-15% con benefici che passano attraverso il risparmio di emissioni prodotte da combustibili fossili e effluenti zootecnici, produzione di fertilizzanti naturali in sostituzione di quelli di sintesi, immagazzinamento del carbonio nei suoli e cattura e stoccaggio della CO2. Quindi, non si tratta esclusivamente di aver risparmiato CO2 quanto piuttosto di aver generato un ciclo sostenibile di processi che concorrono saldamente al raggiungimento del 55% di riduzione complessiva di GHG entro il 2030 con l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050.

– Direttive UE sulla promozione dell’energia da fonte rinnovabile e DM del 2 marzo 2018 e il relativo decreto 10 ottobre 2014. Quale inquadramento offrono queste direttive? Si va nella direzione giusta secondo Lei? Perché?

L’innegabile “fermento” nel settore delle rinnovabili è diretta conseguenza delle azioni messe in atto a livello globale. Il green Deal europeo nelle sue intenzioni “trasformerà l’Unione Europea in una società giusta e prospera, con un’economia di mercato moderna e dove le emissioni di gas serra saranno azzerate e la crescita sarà sganciata dall’utilizzo delle risorse naturali”.
Più in generale gli accordi di Parigi, di cui gli Stati Uniti sono nuovamente parte attiva, costituiscono l’impianto strutturale di tutte le misure operative per la lotta ai cambiamenti climatici. Il framework all’interno del quale le misure sono implementate prevede:

  • Riduzione del 40% delle emissioni di gas effetto serra (al 2030)
  • Una quota di almeno il 32% di energia rinnovabile (al 2030)
  • Un miglioramento di almeno il 32,5% dell’efficienza energetica (al 2030).

Pertanto, vivremo benefici nel breve-medio periodo ma saranno le generazioni future a godere dei benefici più consistenti.
Si deve fare di più. Ciò che ci aspettiamo è un boost ulteriore con azioni mirate:

  • Un prolungamento dell’attuale DM sul biometano oltre il 2022 con una revisione che abbia come obiettivo una maggiore chiarezza ed ampiezza in merito a sottoprodotti.
  • Nell’ambito del DM biometano, consentire un più agevole revamping di impianti soprattutto da un punto di vista economico;
  • Maggiore risalto al digestato declinato e valorizzato come prodotto agronomico ad alta efficacia.
  • Semplificazione della burocrazia che ancora oggi richiede tempi lunghissimi per le autorizzazioni
  • Spingere nella creazione di una cultura positiva di massa con riferimento ad impianti ben progettati e contestualizzati
  • Continuare a supportare gli impianti di piccola taglia con produzione di energia elettrica affinché possano essere ben asserviti alle aziende agro-zootecniche ed affiancare un piano incentivante volto a supportare la risoluzione della gestione dell’azoto / fosforo al campo.

– Come si inserisce la possibilità di usare gli scarti agroalimentari della filiera delle carni nella produzione di biometano a livello ambientale? Potrebbe favorire un percorso verso l’economia circolare a tutto tondo, sostenendo una visione ecosostenibile a lungo termine? Quali osservatori privilegiati, qual è il Vs. punto di vista? Che considerazioni potete fare?

Nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, con la Missione 2, ci si focalizza principalmente sui temi della Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica. Va da sé che tutte le pratiche che mirino a migliorare la gestione degli scarti attraverso un riutilizzo virtuoso, rappresentano un elemento portante del percorso verso l’economia circolare. Citando il PNNR, “La componente 1 “Economia circolare e agricoltura sostenibile” intende perseguire un percorso di piena sostenibilità ambientale con l’obiettivo di rendere l’economia sia più competitiva che più inclusiva, garantendo un elevato standard di vita alle persone e riducendo gli impatti ambientali.” E’ necessario, dunque, procedere su due fronti:

  • Lavorare sulla massima efficienza delle linee produttive implementando sistemi di recupero energetico degli scarti e dei sottoprodotti. Qui il biogas e il biometano sono assolutamente protagonisti rendendo efficace il concetto di neutralità energetica dei processi di produzione.
  • Lavorare sull’intera filiera produttiva con particolare attenzione alla logistica. Ancora una volta il biogas e il biometano rappresentano il principale vettore energetico in grado di ridurre significativamente l’attuale impatto ambientale del sistema dei trasporti nel settore agroalimentare.

Lo sviluppo del biometano è strategico, dunque, oltre che concreto nel raggiungimento degli obiettivi di raggiungimento di emissioni di gas climalteranti al 2030 rendendo reale la potenziale immissione nella rete gas di oltre 2 miliardi di metri cubi.